sabato 21 maggio 2011

G.Nebbia - Se il petrolio sparisse domani

Riporto questo interessante articolo di Giorgio Nebbia cho ho postato su un Forum del sito ComeDonChisciotte.org aggiungendo un mio piccolo commento e due articoli apparsi sul Sole24ore che informano sui rapporti tra Opec e Aie (Agenzia Internazionale Energia dei paesi piu' industrializzati).

Se il petrolio sparisse domani
di GIORGIO NEBBIA

Il petrolio si è affacciato come importante fonte di energia negli ultimi decenni del l’Ottocento, con una produzione relativamente modesta; nel 1900 il consumo mondiale di petrolio era di 30 milioni di tonnellate rispetto a 600 milioni di tonnellate di carbone. Si tenga presente che una tonnellata di carbone produce energia come 0,7 tonnellate di petrolio. Il consumo di petrolio aumentò rapidamente con l’avvento dell’automobile e dell’aeroplano e con la prima guerra mondiale (1914-1919). Nel 1920 il consumo mondiale di petrolio era di circa 130 milioni di tonnellate rispetto ad un consumo di carbone di circa 1200 milioni di tonnellate. Nel 1950, lasciatosi alle spalle il grande massacro della seconda guerra mondiale (1939-1945), il consumo di petrolio era diventato di 700 milioni di tonnellate rispetto ad un consumo di circa 1500 milioni di tonnellate di carbone. A partire dal 1950 ai due giganti energetici si è affiancato, in modo sempre più aggressivo, il gas naturale.

Oggi i consumi mondiali vedono al primo posto il petrolio con circa 4200 milioni di tonnellate all’anno, seguito dal carbone con circa 5000 milioni di tonnellate all’anno (ma con un contenuto di energia equivalente a quello di appena 3500 milioni di tonnellate di petrolio), e al terzo posto il gas naturale con circa 3000 miliardi di metri cubi all’anno (con un contenuto di energia equivalente a quello di appena 2500 milioni di tonnellate di petrolio). I bilanci energetici si fanno con una unità di energia che si chiama tep (tonnellate equivalenti di petrolio).

Durante la conferenza del 1956 dell’Istituto Americano del Petrolio un geologo chiamato King Hubbert (1903-1989) affermò che, sulla base delle conoscenze delle riserve di petrolio esistenti nel mondo, si poteva prevedere che la produzione mondiale di petrolio avrebbe raggiunto un massimo, forse nei primi anni del 2000, e poi sarebbe diminuita. A conferma di questo ricordò che gli Stati Uniti, che erano stati esportatori di petrolio, erano diventati importatori di petrolio per il graduale esaurimento dei suoi pozzi. Nel 2010 il 70 % del petrolio consumato negli Stati Uniti è importato dai paesi del Golfo Persico, da Venezuela, eccetera e i favolosi pozzi della California e del Texas si stanno esaurendo progressivamente.

Il continuo aumento del prezzo del petrolio è influenzato da considerazioni politiche, dalla comparsa di nuovi giganti economici, come Cina e India, che succhiano petrolio dovunque, ma anche da un graduale impoverimento delle riserve. Poco conta se nel sottosuolo c’è petrolio ancora per 30 o per 60 anni; il suo esaurimento si farebbe sentire nel corso di una o due delle future generazioni. A puro titolo di esercizio di fanta-economia immaginiamo che cosa succederebbe se il petrolio scomparisse del tutto. Scomparirebbe la nostra “civiltà” ? No, perché la civiltà è basata su molti altri beni oltre alla pura e semplice energia. Comunque sarebbe un bello sconquasso e, per capire chi ne pagherebbe di più le conseguenze, cominciamo a vedere dove va a finire oggi il petrolio.

Circa un terzo del petrolio consumato nel mondo va nei trasporti terrestri, aerei, navali; i principali mezzi di trasporto terrestre sono, da decenni, gli autoveicoli azionati da motori a scoppio a ciclo Otto; la rotazione delle ruote è assicurata dall’energia liberata dalla combustione di un carburante liquido, la benzina o il gasolio, entrambi derivati dalla raffinazione del petrolio. Circolano autoveicoli che usano il metano del gas naturale, comincia ad affacciarsi qualche autoveicolo elettrico, ma l’elettricità è ancora prodotta in gran parte in centrali che bruciano derivati del petrolio. Se il petrolio improvvisamente scomparisse, ci resterebbero tre soluzioni: ottenere carburanti liquidi dal carbone; oppure usare carburanti liquidi ottenuti dalla biomassa vegetale, come l’alcol etilico o il biodiesel; o, infine, far muovere gli autoveicoli con motori elettrici ricaricati con l’elettricità prodotta dal carbone o dal Sole o dal vento. Quanto poco si possa contare sull’elettricità nucleare è dimostrato dalla catastrofe ai reattori giapponesi di Fukushima.

Il “re carbone” non è un combustibile comodo da usare, però può essere trasformato per reazioni chimiche in numerosissimi prodotti oggi ottenuti dal petrolio a cominciare dai carburanti liquidi per autotrasporti. Il carbone è costituito essenzialmente da carbonio, con piccole quantità di idrogeno e altri elementi. Trattando il carbone ad alta temperatura con vapore acqueo si ottiene una miscela di gas, principalmente idrogeno, ossido di carbonio, metano, che, per ulteriori trasformazioni, possono diventare carburanti liquidi simili alla benzina e al gasolio. Queste trasformazioni sono state rese possibili dalle ricerche condotte negli anni venti e trenta del secolo scorso dai chimici tedeschi Friedrich Bergius (1884-1949), Franz Fischer (1877-1947) e Hans Tropsch (1889-1935). Non c’è da meravigliarsi che si sia debitori alla chimica tedesca di queste innovazioni perché per tutta la prima metà del Novecento la Germania si è trovata priva di petrolio e ricca di carbone. Non consideriamo per ora quanto possano venire a costare questi carburanti dal carbone, perché la questione del prezzo sarebbe secondaria, se trovassimo i distributori di benzina vuoti.

Una parte del petrolio viene usato nel mondo nelle centrali termoelettriche nelle quali il carbone è già usato su larga scala; anche in Italia, zitte zitte, molte centrali termoelettriche funzionano a carbone. Le riserve di carbone sono molto grandi nel mondo, ma il suo uso come combustibile è certamente scomodo perché deve essere scavato nel sottosuolo e trasportato allo stato solido; durante la combustione genera vari gas inquinanti e lascia delle ceneri che pure sono fonti di danni ambientali. Ma se non ci fosse più petrolio, state sicuro che gli ingegneri e i chimici si metterebbero al lavoro per diminuire molti degli inconvenienti del carbone, con la gassificazione sotterranea, la depurazione dei fumi, con il recupero delle scorie oggi sepolte in discariche, eccetera. Una parte dei prodotti ottenuti dalla raffinazione del petrolio viene impiegata nell’industria chimica per fabbricare plastica, fibre tessili sintetiche, gomma sintetica e innumerevoli altri ingredienti di vernici, coloranti, medicinali, inchiostri.

Oggi; perché gran parte delle materie usate dall’industria chimica, etilene, propilene, butano, butilene, eccetera, in passato era ottenuta dal carbone anche grazie ai contributi di un altro chimico tedesco, Walter Reppe (1892-1969). Molte altre merci oggi ottenute dal petrolio sono state per secoli e decenni ottenute dal mondo vegetale e animale. Oltre un terzo delle fibre tessili usate nel mondo è costituito dal cotone offerto dalla natura; molti usi delle fibre oggi ottenute con sintesi chimiche dal petrolio erano soddisfatti in passato da lino, canapa, eccetera. In silenzio, in tutto il mondo, si sta verificando un “ritorno” alle fibre tessili naturali anche perché molte di esse sono prodotte nei paesi emergenti che sperano di trarne occasioni di lavoro e di sviluppo. Circa un terzo della gomma usata nel mondo è di origine vegetale e anzi la gomma naturale in certe applicazioni supera come qualità quella sintetica ottenuta dal petrolio. La natura offre innumerevoli materie nel regno vegetale e animale con cui ottenere coloranti e materie plastiche oggi derivate dal petrolio attraverso l’approfondimento delle conoscenze della biologia, della chimica, della merceologia.

Tranquillizzatevi, perciò, perché, se il petrolio scomparisse, la civiltà continuerebbe e anzi sarebbe probabilmente meno inquinata e più sicura.


Pubblicato su La Gazzetta del Mezzogiorno
Fonte www.democraziakmzero.org

Segue un mio piccolo commento

Anch' io sono convinto che la fine del petrolio non significa la fine del mondo. Il pericolo e' continuare a comportarsi come se la produzione di greggio possa crescere all' infinito, mentre invece il suo limite massimo e' molto vicino.
E' necessario pero' sottolineare come il processo del picco sia ignorato, o conosciuto ma nascosto alla gente, anche da molti ambienti ecologisti che magari collaborano spesso insieme all' Eni o Enel o Terna. Cosi' come la sinistra o i sindacati o amministrazioni locali di tutti i colori che invitano Rifkin a parlare del picco petrolifero ma quando parlano loro, cioe' quasi tutti i giorni, non trattano questo tema, come se fosse un argomento come gli altri e non un vincolo che condiziona tutto il futuro economico e sociale del pianeta.

Marco


Un articolo del sole24ore del 20 Maggio 2011

La Iea (Agenzia energetica dei paesi piu' avanzati) all' Opec:
"Piu' petrolio o ripresa a rischio"

A tre settimane dal vertice dell'Opec, l'Agenzia internazionale per l'energia (Aie) lancia un appello affiché i produttori accrescano le forniture di petrolio, per arginare i danni che il prezzo eccessivo del barile sta già arrecando all'economia globale. L'agenzia dell'Ocse in passato ha più volte esortato all'azione il Cartello, che nonostante il rally del greggio non modifica i tetti di produzione da dicembre 2008.
La forma scelta questa volta, tuttavia, è decisamente inusuale: un comunicato ufficiale, emesso al termine di una riunione del Governing Board, i cui toni sono particolarmente duri,

se non addirittura di velata minaccia.

La nota si conclude infatti con l'affermazione che l'Aie è «pronta a considerare l'uso di tutti gli strumenti a disposizione dei suoi Paesi membri». Il riferimento, secondo alcuni analisti, è alla possibilità di un rilascio delle scorte strategiche, anche se le regole dell'Agenzia prevedono che la misura debba essere attivata solo in caso di reali emergenze e non con il semplice obiettivo di raffreddare i prezzi.

Nel suo comunicato l'Aie non nomina esplicitamente l'Opec, ma è evidente che è ad essa che si rivolge, affermando che «c'è un chiaro e urgente bisogno di foniture supplementari» in vista dell'aumento stagionale della domanda di greggio, tra maggio e agosto. Il Board si dice «seriamente preoccupato dai segnali crescenti che mostrano come la salita dei prezzi da settembre a oggi stia compromettendo la ripresa». «Ulteriori rincari in questa fase del ciclo ecomomico rischierebbero di deragliare la ripresa e non sarebbero nell'interesse dei consumatori né dei produttori».

Fonte www.sole24ore.com

NB. L'Aie o Iea e' un organismo autonomo nato dopo la prima crisi petrolifera nel 1974. Gli stati membri sono 28 e partecipa ai suoi lavori anche la U.E. Oltre ai paesi europei,tutti i piu' importanti meno la Russia,sono membri l'Australia, il Canada, il Giappone, la Nuova Zelanda, la Corea del Sud e gli Stati Uniti. Non ci sono organismi internazionali che si occupano dell' energia e rappresentano tutti i paesi del mondo,si occupa di energia solo la commissione dell' Onu che si interessa dei cambiamenti climatici e vorrebbe dedicare il 2012 a "Energia pulita per tutti" affrontando la vergogna planetaria di un miliardo e mezzo di persone che non hanno accesso all' energia elettrica. Un tema enorme, che si puo' affrontare solo con le energie rinnovabili e che i grandi esperti verdi dal grande portafoglio non seguono.

Un articolo apparso sul Sole24ore attorno a meta' gennaio 2011

Verso meta' gennaio 2011 fu pubblicato sul Sole24ore questo pezzo che riportai su CDC:

Tra Opec e Aie volano scintille

Volano scintille tra l'Agenzia internazionale per l'energia (Aie) e l'Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec). Per mesi l'organismo dell'Ocse e il cartello dei produttori avevano dimostrato una rara sintonia, dicendosi entrambi soddisfatti della stabilità dei prezzi del greggio intorno a 70-80 $ al barile: un livello in grado di stimolare gli investimenti, nel petrolio e nelle energie alternative, senza danneggiare l'economia. Col decollo del barile verso «quota 100» l'armistizio è finito.
L'Aie, sempre più allarmata, ormai da settimane sta sollecitando una reazione da parte dell'Opec, che non ha in calendario altri vertici fino a giugno. La risposta è stata sempre la stessa: il mercato è ben rifornito, inutile aggiungere altro greggio. Ad alzare il livello delle ostilità è stato il segretario generale dell'Opec, Abdalla El-Badri, con un documento in cui attacca l'Aie con toni insolitamente duri: «L'ipotesi che ci sia scarsità è sbagliata (...) Rifornire i media con assunzioni e previsioni non realistiche serve solo a creare confusione e inutili timori». Non basta. «L'Aie dovrebbe essere più coerente», scrive El-Badri, poiché da un lato invoca prezzi alti per limitare i consumi, dall'altro li vorrebbe più bassi per non nuocere alla ripresa. El-Badri rispolvera anche un vecchio cavallo di battaglia dell'Opec, quello secondo cui il caro-carburanti dipende in gran parte dalle tasse: «Se nel 2009 l'Aie suggeriva ai governi di approfittare dei prezzi bassi per alzarle, perché ora non dà il consiglio opposto?».
Tutta retorica? Chissà. Nel rapporto mensile che ha pubblicato ieri – e che ha contribuito a scatenare l'indignazione di El-Badri – la stessa Aie sostiene che l'Opec in realtà starebbe reagendo alla salita dei prezzi: l'Arabia Saudita avrebbe aumentato la produzione negli ultimi sei mesi, arrivando a 8,6 milioni di barili al giorno, invece degli 8,3 mbg dichiarati. In linea con Riad, anche Kuwait e Emirati arabi uniti avrebbero aperto i rubinetti, per rispondere ad un aumento della domanda che l'Aie vede oggi più robusto che in dicembre: le sue stime sono salite di 0,32 mbg sia per il 2010 (+2,7 mbg, a 87,7) sia per il 2011 (+1,4 mbg).

Fonte www.sole24ore.com

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