lunedì 10 gennaio 2011

Bp inquina anche in Alaska: chiuso il TransAlaskaPipelineSystem

LIVORNO. E' ancora chiuso il Trans-Alaska Pipeline System (Taps), una condotta lunga 1.280 chilometri, che dal giacimento di Prudhoe Bay arriva al porto petrolifero di Valdez, e nessuno sa quando potrà riaprire, dopo che è stata scoperta a Prudhoe Bay uno sversamento che ha costretto le compagnie petrolifere a tagliare del 5% la loro produzione media giornaliera di greggio.

Si tratta del blocco di una delle arterie più importanti del petrolio statunitense, che trasporta dal 12% al 15% della produzione Usa, una linea vitale che però dimostra tutti i suoi 33 anni. Si starebbe valutando la situazione ed elaborando un piano per riavviare in modo sicuro l'oleodotto. Una delle ipotesi sarebbe quella di un bypass della tubazione del Taps. Non ci sono stati feriti e nessun «Impatto evidente per l'ambiente», ha detto la Alyeska Pipeline Service Co che gestisce il Taps e che ha scoperto la falla l'8 gennaio, ma nessuno sa quanto petrolio è fuoriuscito davvero, anche se l'Alyeska assicura che il tutto dovrebbe essere rimasto nella "camicia" di cemento che protegge ‘impianto di Prudhoe Bay.

Lo sversamento è stata scoperto nelle fondamenta di un edificio che contiene le pompe di innesco per Pump Station 1, la stazione di "aspirazione" dell'arteria petrolifera. Il recupero del petrolio è stato avviato almeno 7 ore dopo l'arresto e secondo Alyeska «Il 90% del petrolio, circa 9 barili sui 10 che si sono riversati nell'edificio delle pompe, è stato recuperato ieri». Toby Odone un portavoce della Bp, ha detto che sta all'Alyeska fornire aggiornamenti e si è rifiutato di commentare ulteriormente.

L'oleodotto è già stato fermato più volte, l'ultima delle quali nel maggio 2010, a causa di un black-out in una stazione di pompaggio causato da una serie di eventi che provocarono la fuoriuscita di 5.000 barili di petrolio da una cisterna di stoccaggio della Pump Station 9, a 105 miglia a sud di Fairbanks. Nel 2006 da una condotta corrosa uscirono 212.252 galloni di greggio nel campo petrolifero di Prudhoe Bay.

L'Alyeska, fondata nel 1970, è di proprietà delle compagnie petrolifere che hanno interessi nell' Alaska North Slope, la terza più grande regione per la produzione di petrolio negli Usa dopo il Golfo del Messico e il Texas, tra i proprietari della pipeline ci sono multinazionali già tristemente note per disastri petroliferi come Bp, ConocoPhillips e Exxon Mobil. La Bp, fresca protagonista del più grande disastro ambientale della storia Usa nel Golfo del Messico, ha il 46.93% delle azioni dalla Alyeska Pipeline, Exxon Mobil il 20,34%e ConocoPhillips il 28,29%.

Quote minori vanno alla Koch Alaska Pipeline Company dei famigerati fratelli Koch (3,08%) e ad Unocal (1,36%). La società della Big Oil ha sede ad Anchorage e conta circa 900 dipendenti. La prima concessione trentennale per i terreni federali scadeva nel 2004, ma nonostante le proteste è stata rinnovato per altri 30 anni nel 2002L'incidente ha provocato un taglio della produzione di greggio della Bp nell'Alaska North Slope del 95% su 410.000 barili al giorno. Nel 2009 Prudhoe Bay e gli altri campi petroliferi dell'Alaska sono stati la più grande fonte di greggio per la Bp nell'emisfero occidentale dopo il Golfo del Messico. Dall'Alaska viene un barile ogni 14 di quelli estratti dalla Bp in tutto il mondo che ha partecipazioni in altri 20 campi petroliferi del North Slope dell'Alaska e in almeno 4 quattro pipeline.

La sorveglianza sulla gestione della Taps è affidata dal Dipartimento degli interni Usa al Joint pipeline office (Jpo), un consorzio di tredici agenzie federali e statali. Tutte le operazioni della Taps dell'Alyeska sono state automatizzate e centralizzate per ridurre i costi per barile spedito dopo la perdita di produttività succeduta al picco dio 2 milioni di barili al gioorno raggiunto nel 1988 a oltre 2 milioni di barili al giorno, da allora la produzione di greggio a Prudhoe Bay e in altri giacimenti dello North Slope si è ridotta notevolmente. Gli ambientalisti e diversi tecnici sostengono che le modifiche operative apportate dall'Alyeska pongono rischi per la sicurezza, critiche che dopo l'incidente di agosto hanno portato Kevin Hostler a dimettersio dalla presidenza di Alyeska, sostituito dal primo gennaio dal vice ammiraglio in pensione della Coast Guard Usa Thomas Barrett che è anche l'ex capo del Department of transportation's pipeline and hazardous materials administration Usa, con una commistione tra controllori e controllati che è sempre più frequente anche in America.

Il blocco che del Taps per ora non ha ridotto il traffico delle petroliere nel porto di Valdez, non c'è quindi pericolo immediato di un calo dei rifornimenti di petrolio, ma la borsa non l'ha comunque presa bene: l'Oil futures a New York è salito del 2,2% a 89,98 dollari al barile. Un rapporto di Villanova, dello Schork Group Inc, dice che «Elevati livelli di incertezza porteranno gli operatori ad arrampicarsi sugli specchi per coprire gli obblighi di fornitura e riferendosi al Taps ha aggiunto: «Non crediamo che la notizia così com'è è sia sufficiente a spingere il greggio sopra la barriera di 100 dollari. Le raffinerie dipendenti dal greggio dell'Alaska hanno probabilmente un "cuscino" di scorte per almeno diverse settimane».

Quel che è certo è che il nuovo incidente è anche un nuovo colpo all'immagine della Bp e che nella seconda metà del 2010 il prezzo del greggio è salito del 21% e il 3 gennaio è arrivato a 92,58 dollari al barile, puntando (e speculando) sulla ripresa e del consumo di carburanti negli Usa, il Paese del mondo che consuma più petrolio.

Forse la spiegazione dell'esibita tranquillità delle Big Oil davanti al nuovo incidente sta tutto nel cinismo di quanto ha dichiarato a Bloomberg Ben Westmore, un economista esperto di miniere ed energia della National Australia Bank: «L'arresto del sistema è incorporato nei prezzi. La gente è solo un po' più interessata ai vincoli di approvvigionamento di sei mesi fa». Una posizione naturalmente condivisa anche dalla Bp dopo l'incidente al Taps: «Abbiamo avuto una significativa riduzione della produzione anche prima per vari motivi, tra cui il cattivo tempo. Non è raro. La società non si può dire per quanto tempo durerà il fermo». Insomma i costi ambientali, sociale ed economici dei disastri petroliferi sono compresi nel prezzo... e quindi esternalizzati e a carico dei consumatori.

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