Non sono stato a questa seconda riunione "allargata" del Comitato "Vota Sì per fermare il nucleare", dopo aver partecipato alla prima, più ristretta, del 30 giugno, presso il WWF di via Po a Roma.
A nome del Coordinamento Energia Felice era comunque validamente presente Mario Agostinelli.
Diciamo che è andata bene perchè è stata almeno sventata la tendenza a sbaraccare tutto per far ritornare protagonista il vecchio associazionismo ambientalista.
Leggo la mozione e, per dirla in breve, vi trovo però rispecchiata una posizione da "popolo dell'energia", non da "popolo". Così come all'assemblea dell'acqua pubblica della settimana scorsa ci si pensava e ci si dava impegni come "popolo dell'acqua".
Siamo cioé ancora alla mentalità da "movimento dei movimenti" (le tematiche settoriali e territoriali che si coordinano) e si concepisce la vittoria referendaria come frutto della affermazione, a livello popolare, della narrazione del "benicomunismo".
L'analisi, secondo me, è sbagliata, la cultura politica è, nonostante tutto, superata, la tattica individuata, di conseguenza, non porta lontano.
E' finito - credo - il ciclo di lotte apertosi con Seattle, la stagione di Genova, l'alter-globalismo che è poi rifluito nel territorialismo spinto.
La lotta NO-TAV evidenzierà l'illusione che non si può costruire "l'altro mondo possibile" in una sola Valle (ma nemmeno resistere efficacemente alla lobby europea delle Grandi Opere).
La moda delle "narrazioni" non può sostituire l'elaborazione di definiti e precisi programmi politico-economici generali.
Oggi al centro delle lotte ci sarà sempre di più la crisi economica - gravissima - e la soluzione che ad essa intende dare, facendo leva sulla tecnostruttura UE, la finanza internazionale.
La UE diventa controparte diretta, con il suo "patto di stabilità" che impone il rientro dal debito pubblico aggredendo il welfare e universalizzando le privatizzazioni; e ad essa si oppone il "popolo indignato" la cui avanguardia è costituita dalla gioventù lavoratrice precaria.
E' la gioventù che chiede una "democrazia effettiva" e che la crisi la paghino le banche e non i ceti popolari.
Noi possiamo aggiungere: i ceti popolari, per non pagare la crisi, devono imporre una dinamica economico-sociale alternativa respingendo il vecchio modello di "crescita" (che oggi ci consegna solo alla decrescita come recessione) e rifiutando i vincoli europei al servizio degli interessi dei "creditori" contro i "debitori".
Sono, per intenderci, le proposte, ad esempio, di Guido Viale di conversione ecologica dell'economia; ma precisando che dobbiamo assicurarci una politica statale almeno nazionale come loro back-ground; e un recupero della sovranità pubblica sulla moneta e sul grande credito, così come era nei programmi originari della Resistenza europea al nazifascismo.
L'Europa che veicola la dittatura finanziaria contro i suoi popoli (e che all'Italia presenta un conto di 900 miliardi di euro) va ribaltata dall'altra Europa che persegue un nuovo patto di cittadinanza democratica.
La partita antinucleare e contro il modello delle Grandi Opere si gioca ora a livello europeo: per questo è importante, per creare una rete unitaria diffusa e partecipata, lanciare la campagna coordinata di due risoluzioni di iniziativa popolare acqua-energia (1 milione di firme in almeno 7 Paesi UE).
Ma è soprattutto essenziale far confluire i vari popoli settoriali (acqua, energia, pace, NO-Tav, NO-Marchionne, eccetera) nell'unico popolo indignato che occuperà le piazze per imporre la sua rivoluzione democratica (si abbia presente il modello islandese).
La rivoluzione energetica si fa all'interno della rivoluzione democratica che si gioca in uno spazio europeo di organizzazione e di lotta.
Io credo che questo scenario diventerà molto chiaro quando, nel 2014, ci verrà presentato, dalla UE, il conto sul debito pubblico: rientrare, all'inizio, di 45 miliardi di euro all'anno (pari al 5% dei 900 che dobbiamo tagliare per rispettare il parametro del 60% del PIL).
Magari con un nuovo governo di centro-sinistra a fare da esattore coinvolgendo, ancora una volta, buona parte del sottoceto politico della "sinistra sinistrata".
Sempre che non ci trovassimo di fronte - da subito, cioé nel 2012 - ad un vero e proprio crack mondiale. Ipotesi per nulla fantastica e risibile, che ci costringerebbe con urgenza a scelte drammatiche in una situazione - purtroppo - di impreparazione.
Alfonso Navarra - obiettore alle spese militari e nucleari
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