L'efficienza energetica per chiudere le centrali a carbone
Chiudere le vecchie centrali a carbone negli Usa e attivare programmi di efficienza energetica darebbe un vantaggio economico netto per la collettività. Anche in Italia, alla costruzione o alla conversione a carbone di impianti come quello di Porto Tolle, va contrapposta una seria politica per l'efficienza energetica.
L'editoriale di Gianni Silvestrini.
Gianni Silvestrini
18 ottobre 2011
Le legislazioni ambientali dei prossimi anni obbligheranno a riqualificare negli Usa centrali a carbone per una potenza di circa 40.000 MW. Parliamo di enormi investimenti che si scaricheranno in aumenti in bolletta che potranno arrivare in alcuni Stati fino al 20%. Esistono alternative?
Un recente rapporto statunitense dell’American Council for an Energy Efficient Economy (ACEEE), “Avoiding a train wreck: Replacing Old Coal Plants with Energy Efficiency" (pdf), ha evidenziato che la chiusura delle vecchie centrali e il contemporaneo lancio di programmi di efficienza energetica e di cogenerazione garantirebbe un vantaggio economico netto per la collettività. Del resto, i programmi di “Demand Side Management” non sono una novità e vengono gestiti dalle compagnie elettriche statunitensi da oltre un ventennio con discreti risultati. Nel 2009 sono stati così risparmiati 78 miliardi di kWh.
E veniamo all’Italia. Ci sono, è noto, progetti per costruire o convertire a carbone diversi impianti, ad iniziare dalla contestata centrale di Porto Tolle sul delta del Po che dovrebbe funzionare a regime con tre gruppi da 660 MW. Queste scelte si devono confrontare con il percorso verso la totale decarbonizzazione della produzione elettrica europea indicato nel rapporto “Roadmap verso un'economia competitiva a basse emissioni di carbonio nel 2050” presentato dalla Commissione Europea nel marzo 2011.
Ora, la centrale di Porto Tolle, se venisse riconvertita, funzionerebbe fino al 2060. È vero che un decimo delle 10 milioni di tonnellate di anidride carbonica emesse dovrebbe annualmente essere sottratto e iniettato nel sottosuolo (CCS) grazie ad un progetto finanziato dall’Europa. Ma i costi stimati per la CCS sono molto alti e non competitivi fino al 2030. E d’altra parte non sappiamo quali valori di mercato raggiungeranno le emissioni di anidride carbonica fra 10, 20, 30 anni (30, 50, 100 €/t ?). Dunque, sembra un progetto rischioso ed economicamente problematico sul medio e lungo periodo sia a livello aziendale che su scala nazionale.
Per di più, in Italia la potenza elettrica è decisamente sovradimensionata con 104 GW nel 2010 e previsioni per il 2020 che vanno da 110 a 130 GW. Questo, mentre la richiesta di punta, attualmente pari a 57 GW, secondo Terna dovrebbe raggiungere i 74 GW alla fine del decennio con una capacità di generazione necessaria pari a 90 GW.
Non sarebbe più saggio applicare la strategia dell’ACEEE e lanciare anche in Italia un serio programma di efficienza energetica, sulle linee, ad esempio, del Piano elaborato da Confindustria?
Gianni Silvestrini
18 ottobre 2011
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