martedì 2 agosto 2011

Nanni Salio - Energia e modelli si sviluppo 1° parte

Questo articolo è stato scritto nel 2009, per un libro non ancora pubblicato, molto prima della catastrofe di Fukushima. Lo riproponiamo tale e quale perché a nostro parere contiene già le risposte a tutti i principali interrogativi posti dall’insieme di crisi che caratterizzano l’attuale fase della storia umana. Inoltre nel 1990, con il film Sogni, Akira Kurosawa fu tristemente profetico.

Siamo in presenza di una crisi energetica permanente, destinata a protrarsi e aggravarsi nel tempo, di cui facciamo fatica a percepire la gravità. Continuiamo a danzare allegramente sul Titanic che affonda, convinti che la questione verrà comunque risolta dalla nostra straordinaria creatività scientifica. Ci siamo abituati a usare l’energia, soprattutto il petrolio e il gas, come se fosse qualcosa di perennemente disponibile, abbondante e a basso costo. Improvvisamente ci troviamo di fronte al venir meno di queste fonti e pensiamo che gli allarmi siano ingiustificati, frutto solo della speculazione, o di errori di valutazione per eccesso di prudenza. Ma ora le cose sono diverse rispetto alla crisi del 1973. La situazione si è enormemente complicata per un insieme di vari fattori: 1. stiamo raggiungendo, o abbiamo già raggiunto, il “picco di produzione geofisica del petrolio”, ovvero la massima capacità produttiva e d’ora in poi crescerà il divario tra domanda, crescente, e offerta, calante. (su questo tema, ignorato sino a poco tempo fa dalla grande stampa, si veda il sito www.aspoitalia.net). Dapprima questo avverrà lentamente, ma poi sempre più rapidamente; 2. l’intenso uso dei combustibili fossili, carbone compreso, ha provocato una crescita di concentrazione di gas serra che, continuando con questo andamento, potrebbe raggiungere un punto di non ritorno che innescherebbe un cambiamento climatico globale con conseguenze imprevedibili ma sicuramente catastrofiche; 3. la crescita della domanda di energia, soprattutto petrolio e gas, da parte dei paesi emergenti (Cina e India) le cui economie crescono con tassi a due cifre sta creando una situazione di tensione nelle relazioni internazionali che facilmente sfocia in guerre per il controllo delle risorse e può degenerare in una guerra su larga scala. D’altro canto, mentre una minoranza del 20-25% dell’umanità dispone dell’80-85% delle risorse energetiche, gli altri tre quarti vivono in condizioni inaccettabili e hanno diritto a una crescita: loro devono crescere, noi dobbiamo decrescere e dimagrire.

Energia o potenza?

Precisiamo subito che per capire bene i termini della questione, dovremmo parlare soprattutto di potenza (flusso di energia nel tempo) più che di energia. Mentre l’energia si misura in joule, la potenza è il rapporto tra joule e secondi e si misura in watt o con i suoi multipli, il kW, pari a mille watt. La potenza delle lampade che usiamo nelle nostre abitazioni varia da poche decine di watt a un centinaio, mentre quella di un’automobile è dell’ordine di qualche kW. Il metabolismo del nostro corpo richiede una potenza di circa 100 W per nutrirci e mantenerci in vita.

Ma la potenza che le società industriali utilizzano varia da un paese all’altro, con disparità notevoli che vanno dai 10 kW pro capite degli USA ai 5-6 dell’UE a 1-2 della Cina a 1 per l’India per un totale di circa 1013 W a livello planetario.

potenza pro-capite

Stati Uniti 10 kW
Unione Europea 4-6 kW
Italia 5-6 kW
Cina 1-2 kW
India 1 kW
Mondo 1,6 kW
Paesi più poveri 0,1-0,5 kW

Queste differenze che nei casi estremi giungono quasi a un fattore cento, si possono considerare una conseguenza dei diversi modelli di sviluppo adottati esplicitamente o implicitamente dai vari paesi, come si può vedere dallo schema di fig. 2.

MDS ENERGIA/POTENZA
ILLIMITATO/10 kW
SOSTENIBILE/2 kW
SEMPLICITA’ VOLONTARIA/1 kW
SUSSISTENZA/ 0,1-0,5 kW
MATTATOIO MONDIALE/ meno di 0,1 kW

Fig.2 Correlazione tra modelli di sviluppo e potenza energetica pro capite

Poiché si può ipotizzare una correlazione tra modelli di sviluppo e modelli di difesa, ne risulta anche uno strettissimo legame tra scelte energetiche e modelli di difesa, come è ampiamente argomentato nella letteratura sull’argomento (Michael Klare, Le guerre del petrolio, www.disinformazione.it/guerrepetrolio.htm . Dello stesso autore: L’impero del petrolio, Internazionale, n. 591, 20 maggio 2005, pp.28-35 e i più recenti articoli: Michael Klare, “Is Energo-Fascism in Your Future? The Global Energy Race and Its Consequences” (Part 1), www.truthout.org_2006/011507H.shtml “Petro-Power and the Nuclear Renaissance: Two Faces of an Emerging Energo-Fascism” (Part 2), www.truthout.org/docs_2006/printer_o11707G.shtml dei quali esiste una traduzione parziale con il titolo “Potere nero”, in Internazionale, n. 679, 9/15 febbraio 2007, pp.22-27. Si veda infine: Jonathan Nitzan e Shimshon Bichler, Capitalismo e guerra, www.resistenze.org/sito/os/ec/osec6n22.htm articolo originale all’indirizzo:

www.globalresearch.ca/index.php?context=viewArticle&code=%20NI20061116&articleId=3890).

La dottrina militare USA non fa mistero della necessità di controllare le aree strategiche di produzione del petrolio, ovunque nel mondo, dall’America Latina all’Africa al Medio Oriente. Si può ben dire che gran parte delle guerre contemporanee sono, almeno in prima ma buona approssimazione, “guerre per il petrolio”.

La storia della rivoluzione industriale è sostanzialmente una storia di successive rivoluzioni e innovazioni energetiche: dal carbone all’elettricità, dal petrolio al nucleare, sino a quella tuttora in corso dal nucleare e dai fossili al solare. E’ la straordinaria potenza messa a disposizione dalle fonti energetiche, soprattutto fossili, che ha permesso la crescita esponenziale della popolazione umana, del prodotto globale lordo e dei consumi pro capite, provocando di conseguenza una crescita esponenziale dell’impatto sul pianeta, che si può rappresentare con il modello proposto sin dal 1973 da Barry Commoner, Paul Ehlrich e John Holdren mediante la relazione funzionale I = P x A x T (Per approfondire questo tema, vedi: Pietro Greco e Antonio Pollio Salimbeni, Lo sviluppo insostenibile, Il Saggiatore, Milano 2003).

Secondo questo modello, l’impatto I sul pianeta dipende da tre variabili fondamentali: la popolazione P, lo stile di vita A, ovvero i consumi pro capite, e il fattore tecnologico T. Tale relazione può essere ulteriormente sintetizzata, con discreta approssimazione, in due sole variabili: I = P x E, dove E indica i consumi energetici pro capite.

Per stabilire quanto vale I, si possono utilizzare vari indicatori ambientali, il più noto e diffuso dei quali è l’impronta ecologica, definita come “uno strumento di calcolo che ci permette di stimare il consumo di risorse e la richiesta di assimilazione di rifiuti da parte di una determinata popolazione umana o di una certa economia e di esprimere queste grandezze in termini di superficie di territorio produttivo corrispondente” (Mathis Wackernagel e William E. Rees, L’impronta ecologica, Edizioni Ambiente, Milano 2000, pag.3). Si stima che l’attuale impronta ecologica totale dell’umanità superi del 20% il territorio realmente disponibile. Stiamo quindi intaccando il capitale naturale non rinnovabile e stando alle previsioni del WWF, questa tendenza potrebbe culminare nel 2050 con un’impronta che supererà di quattro volte quella totalmente disponibile. In altre parole, a quella data occorrerebbero quattro pianeti per far fronte alle esigenze dell’umanità (Vedi il rapporto annuale del WWF, Living Planet, www.assets.panda.org/downloads/living_planet_report.pdf ).

Impronta ecologica
(in ettari pro capite)

USA 10
Germania 4,5
Italia 3,8
Cina 1,8
India 0,7

Come si vede dalla tabella, anche i valori dell’impronta ecologica confermano la correlazione già evidenziata tra modelli di sviluppo e potenza energetica. Colpisce inoltre il fatto che i dati numerici dell’impronta e della potenza siano all’incirca gli stessi, sebbene espressi in unità di misura diverse.

Un altro indicatore è quello delle emissioni pro-capite di gas serra. Anche in questo caso, come si vede dai dati riportati in tabella, è evidente l’enorme disparità tra ricchi e poveri.

emissioni pro-capite di gas serra (in tonnellate equivalenti di CO2)

Stati Uniti 23,7
Unione Europea 11
Italia 9,8
Cina 3,2
India 1,2
Mondo 4,5
Paesi poveri meno di-0,5

(Fonte: Vincenzo Ferrara, “La dimensione etica dei cambiamenti climatici”, Energia, ambiente e innovazione, 3/2006, pp. 40-47.)

Usi finali
Nell’analisi della questione energetica si distinguono due scuole di pensiero principali. Secondo la prima occorre puntare sulle fonti energetiche, aumentando l’offerta e scoprendo nuove fonti. La seconda scuola sostiene invece che bisogna interrogarsi su quali sono gli usi finali e vedere come soddisfarli nel modo più efficiente. Negli usi finali, abbiamo bisogno soprattutto delle seguenti tipologie di energia: elettricità, che al momento è intorno al 15% del totale finale nei paesi industrializzati, calore a bassa temperatura (per riscaldamento e usi domestici), che costituisce circa il 30% degli usi finali; energia meccanica per i trasporti, un altrettanto 30%, e la parte restante calore a media e alta temperatura prevalentemente per produzione industriale.

Fonte www.serenoregis.org

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